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martedì 9 novembre 2010

Librerie di Cuba

Sono appena tornata da un viaggio a Cuba, dove ho scattato qualche foto alle librerie del luogo. Vale davvero la pena, se bazzicate da quelle parti, dare un'occhiata.
LIBRERIA è una parola universale. 


chioschi a l'Havana

chioschi a l'Havana

Vignales

al popolo non diciamo crea, diciamo leggi

i libri consolano, calmano, preparano, arricchiscono e redimono

essere colto è l'unico modo di essere liberi

sabato 23 ottobre 2010

Buoni motivi per aprire una libreria

Qualche mattina fa ero in giro per lavoro in una via di Milano dove non si passa casualmente, è una di quelle strade dove ti ritrovi per qualche preciso motivo.
Ero in via Tadino dove ha sede la Libreria Popolare di via Tadino, fondata il 10 ottobre 1974, una delle 101 librerie indipendenti di Milano. Come in tutte le librerie indipendenti, l'atmosfera e le persone sono molto accoglienti.
In questo spazio luminoso dove il profumo di libri e la gentilezza sovrastano tutto, l'offerta è vasta, spazia dalle riviste di letteratura e società a un angolo di proposte per bambini, titoli sceltissimi di case editrici indipendenti e non solo, saggi su lavoro, filosofia, poesia (alla quale il Signor Guido Duiella che intervisto, uno dei soci di questa "cooperativa libraria", tiene moltissimo), religione e narrativa.
Alla mia domanda se un libraio indipendente offre alla propria clientela anche i titoli che vendono, quelli che si trovano praticamente ovunque, persino al supermercato, il Signor Guido Duiella afferma che "sì, abbiamo i libri di tutte le case editrici, anche qualche titolo che lei può trovare al supermercato. C'è, però, un MA: ossia che privilegiamo gli autori che riteniamo più interessanti pubblicati nei cataloghi dei grandi editori, così come tutti gli autori pubblicati dalle molte case editrici indipendenti e di qualità che nei supermercati non arriveranno mai e che scompaiono nelle grandi librerie di catena dietro le pile dei best sellers venduti a prezzi stracciati grazie a super sconti. Quello che ci differenzia dalle librerie globali è il servizio e la sua personalizzazione".

Moltissimi dei titoli che, infatti, si trovano sugli scaffali sono editi da case editrici colte e indipendenti anche loro, titoli particolari per, è inutile negarlo, coloro che fanno della lettura uno stile di vita.
Guido riflette sul fatto che "le librerie indipendenti, oggi, hanno difficoltà a vivere, perché operano in un mercato sleale. Insieme ad altri librai, ci siamo fatti promotori di iniziative che intendono far conoscere e valorizzare il ruolo delle librerie indipendenti (e degli editori indipendenti di qualità), ricordando anche che molte di queste vivono e operano in quartieri periferici, offrendo un servizio e un punto di riferimento culturale al quartiere, spesso l'unico; per questo motivo ritengo che sia importate la presenza delle piccole librerie indipendenti diffuse sul territorio. E sono convinto che la loro chiusura rappresenterebbe una perdita per tutti".

Guido è responsabile e amministratore della Cooperativa proprietaria della Libreria Popolare di Via Tadino; fin dalla sua nascita questo luogo è stato di "proprietà" di una Cooperativa di librai e dei loro sostenitori. Mi racconta Guido che "oggi con me lavorano altri librai giovani e meno giovani e sono tutti soci: non c'è una divisione tra proprietario e commessi, ma siamo tutti librai, ognuno con le proprie esperienze. C'è chi è in libreria da più di vent'anni e ci è rimasto (Emanuele), mentre la totalità dei soci precedenti se ne sono andati, non essendo più motivati ad affrontare e superare le difficoltà economiche che la stavano portando alla chiusura. Ci sono io. Ci sono Elena e Daria, giovani libraie che ho coinvolto nel progetto e che in libreria lavorano da non molto tempo, ma che subito sono diventate elementi attivi e importanti per lo sviluppo del progetto. Ci sono poi alcuni amici e sostenitori che, pur non partecipando alla gestione quotidiana della libreria, sostengono il progetto e danno il loro apporto - importantissimo - di conoscenze, e anche economico".

Chi glielo ha fatto fare di diventare libraio?
Quando sono venuto a conoscenza di questa situazione mi sono chiesto cosa si poteva fare per evitare la chiusura di questa libreria che per me aveva rappresentato molto in tempi passati e, dopo averci dormito su una notte, al mattino ho deciso di provarci in prima persona: il primo passo è stato uno studio di fattibilità e la messa a punto di un progetto di rilancio che mi ha impegnato alcuni mesi. Da poco più di un anno sto lavorando a questo rilancio, impegnandomi come principale socio organizzatore e finanziatore, per sviluppare il progetto che ho messo a punto.

Ho chiesto, poi, a Guido se questo del libraio fosse sempre stato il suo mestiere: "No, facevo tutt'altro. Quando, però, ho saputo che volevano chiudere la libreria, ho trovato in me tanti buoni motivi per prendermene cura e per andare avanti". Quali modifiche ha apportato? "Abbiamo arricchito l'offerta di Editori Indipendenti, commercializziamo titoli che la grande distribuzione non prende neppure in considerazione. Lavoriamo molto sul servizio al cliente, cerchiamo di soddisfare anche le richieste più particolari. Con accortezza, gentilezza e disponibilità".

Qualità che, di sicuro, non mancano alla Libreria Popolare di via Tadino.

PS: la Libreria Popolare di via Tadino ha una storia ricchissima e molto interessante che vi racconterò nel post successivo.
PPS: da poco anche la Libreria Popolare di via Tadino è su facebook, dove alla voce Info si può leggere "dal 1974, luogo di incontri, discussioni, confronti, iniziative...".

Libreria Popolare di via Tadino
via Tadino, 18
20124, Milano
02-29513268
libreriatadino@yahoo.it











martedì 19 ottobre 2010

La cultura non si mangia (5)

Qual è il futuro delle librerie? ce lo spiega in questo ultimo capitolo il Signor Bozzi.

Il futuro

Quando Luciano Mauri decise di onorare la memoria di sua figlia Elisabetta dando attuazione all’idea di suo zio Valentino Bompiani per una Scuola per librai, io ho avuto la fortuna e l’onore di esserne, nella mia qualità di Presidente dell’Associazione Librai, uno dei quattro fondatori.
Nel settembre del 1983, alla presentazione ufficiale della Scuola al Circolo della Stampa di Milano, chiedevo a me stesso e ai mille intervenuti quale sarebbe stato l’abito del libraio del futuro: “Il camice bianco del tecnico informatico o il panciotto e il pincenez di Cesarino Branduani?”. Branduani era un mitico libraio milanese, molto simpatico e cordiale oltre che dotato di una memoria prodigiosa e, come si capisce dall’espressione che usavo, l’informatica era considerata allora altissima tecnologia e nei negozi semplicemente non esisteva.
Spero comunque che sia ancora chiaro quello che intendevo dire: il libraio del futuro si affiderà solo all'evoluzione della tecnologia e del marketing oppure manterrà quel complesso di doti umane, come quella di saper scegliere e consigliare, che sembrano necessarie per dare una personalità alla sua libreria e orientare il suo cliente in una così vasta moltitudine di scelte?

Librerie e librai
I venticinque anni che sono passati hanno risolto solo parzialmente il dubbio: oggi anche le librerie di piccolissima dimensione hanno un paio di terminali e il loro bravo programma di gestione.
La memoria non è più un problema: ogni libraio ha nel suo portatile più memoria di quanta gliene potrà mai servire.
Nessuno può negare che sia stato un progresso, ma nella gestione moderna delle librerie sembra esserci poco posto per la passione, l'orgoglio, il furore che i librai vieux jeu dei quali Branduani è il simbolo mettevano nel loro mestiere.
Ci chiediamo se stiamo correndo verso un mondo in cui la specie, eh quella dei librai sì,
scomparirà per il naturale evolversi del commercio.
A sentire quello che dicono, non sono pochi i clienti che sentono il bisogno di quei rapporti personali che certo non si riescono a trovare nel supermercato e spesso neppure nelle megalibrerie moderne.
E molti sono quelli che sembrano quasi increduli quando consegniamo loro il libro che non sono riusciti a trovare altrove.
La componente “etica”, se non addirittura iniziatica, di questo mestiere nei venticinque anni che sono passati da allora sembra ancora richiesta o rimpianta da qualcuno.
E questo è l’elemento che non ci consente di risolvere del tutto il dubbio del 1983.
Anche se resta forte il sospetto che tale componente non sia del tutto compatibile con la gestione moderna delle librerie.
E che l'avanzare della modernità nasconda, dietro il crescere in numero, dimensione ed efficienza delle librerie, un'insidia.
Un male insospettato, antico e letterario: la pulsione edipica che le spinge ad uccidere il loro padre, il libraio.

domenica 17 ottobre 2010

La cultura non si mangia (4)

Oggi si parla dell'evoluzione del mestiere del libraio e di quella del libro.
Chi scrive è ancora il Signor Bozzi.

L'evoluzione del libraio
In questa direzione si sono fatti passi assai lunghi negli ultimi 30 anni. Forse non è più vera la definizione che Umberto Saba, il libraio poeta, dava della libreria negli anni ’20: "Un buco con un genio dentro", una definizione poetica che intende per genio, credo, il genius loci lo spirito protettore dei romani.
Il buco si è allargato, le librerie oggi sono più grandi, più luminose, più ricche.
Ma il genio, lo spirito protettore dovrebbe continuare ad esserci.
In altre parole anche il libraio dovrebbe avere due anime. È naturale che le due anime del libro si riflettano in lui.

L'evoluzione del mercato

Tuttavia il commercio si è incamminato su una strada nella quale le persone così complicate da avere due anime hanno poco spazio.
È un problema che riguarda in modo speciale il commercio dei libri.
Per spiegare il perché, vorrei tornare alle cifre relative al mercato in Italia.
Ricordate i 400.000 titoli in commercio? Bene, per spiegare come funziona il mercato dei libri ricorrerò a una metafora: immaginiamo che esso sia una prateria di superficie pari all'Italia e che la vegetazione di ogni metro quadrato rappresenti le vendite annue di un titolo.
Ebbene la prateria presenterebbe parecchie zone senza vegetazione, una stragrande distesa di erba più o meno bassa e pochi radissimi alberi. Per l'esattezza, un albero ogni 350 chilometri quadrati.
Spero che sia chiara la metafora: le zone senza vegetazione rappresentano i titoli di cui non si vende neppure una copia all'anno; gli alberi, poco più di mille, rappresentano i titoli di cui si vendono almeno diecimila copie in un anno. L'erba è tutto il resto.
Ora vediamo cosa succede nei punti vendita.
Nelle grandi superfici, il 100 % delle vendite riguarda i soli 500 alberi più alti.
Nelle megalibrerie gli alberi costituiscono almeno il 50% delle vendite.
Nelle librerie tradizionali gli alberi costituiscono meno del 10% delle vendite.
Il che significa che il 90% delle loro vendite è costituito da volumi che vendono poche copie all'anno.
Volumi che i tecnici dicono "a basso indice di rotazione" e i profani dicono "che rendono poco".
Ma perché succede questo?
Uno dei motivi è il fatto che i librai tradizionali hanno due anime e una delle due li spinge a fare un punto d'onore della loro capacità di soddisfare le richieste più strane.
L'altro, reciproco, è che le grandi superfici e le megalibrerie hanno un'anima sola, quella commerciale, che li obbliga a privilegiare le grandi rotazioni.
In realtà il fenomeno è più complesso.
Non è che le librerie tradizionali siano state così nobili da scegliere la strada più difficile per amor di cultura e pluralità: il fatto è che vendono quello che possono e che a loro è rimasta la parte acerba della mela.
D'altra parte le grandi superfici e le megalibrerie hanno fatto una scelta del tutto lecita e forse anche più in linea coi tempi, oltre che vincente: quella di destinare molto del loro margine al costo dello spazio e alla pubblicità e quindi di risparmiare sui servizi e privilegiare i margini alti.
Tutto a posto, dunque?
Eh, no.
Perché anche il mercato del libro ha due anime.
Il fatto che anche i libri di buona qualità culturale e di scarsa qualità commerciale (il che capita spesso) non siano facilmente disponibili non è solo un fenomeno economico o commerciale.
E forse non c'è neppure molto bisogno di spiegare il perché.
Così come non c’è bisogno di sottolineare il fatto che la circolazione di tutti i libri e non solo di quelli che “rendono” è un vantaggio per la collettività e per la democrazia.
C'è piuttosto da farsi qualche domanda.
Com'è che l'avvento dei supermercati ha fatto sparire i negozi di alimentari, ma non Peck?
Perché il diffondersi dei fastfood non ha fatto sparire slowfood e ristoranti gastronomici?
Perché la proliferazione dei negozi Benetton, Zara, H&M... non ha fatto sparire i Finollo, i Baldelli e i Battistoni?
La risposta è semplice, ma non ovvia: perché in tutti questi settori commerciali c'è libertà di prezzo.
Dio mi guardi dall'entrare in una discussione spinosa come la questione del prezzo dei libri.
Ma io cerco di porre in chiaro i dati di fatto che governano il mercato librario.
Ed è un dato di fatto che nel mercato librario non c'è libertà di prezzo, ma semmai libertà di sconto.]

 

sabato 16 ottobre 2010

La cultura non si mangia (3)

Terza parte della testimonianza del Signor Bozzi, proprietario della libreria più antica d'Italia, la Libreria Bozzi di Genova. In questa parte, il Signor Bozzi parla di "morte del libro", ossia della tanto dibattuta scomparsa della carta a favore di avanzate tecnologie, in primis l'e-book.

La morte del libro
Il problema che mi pongo ora è: questa prima anima del libro è immortale, come lo sono di solito le anime, oppure il libro è destinato ad estinguersi?
La prima volta che ho sentito parlare della morte del libro avevo una trentina d'anni, quando intervenni ad un convegno sull’argomento a Como. Il killer in quella occasione avrebbe dovuto essere la televisione, ma prima di allora era stato incolpato il cinema, prima ancora i fumetti, la radio e persino, chissà perché, i libri tascabili.
Da allora ho partecipato a una miriade di convegni sull’argomento (l’ultimo colpevole è Internet), ma il libro è più vivo che mai. Nel frattempo io sono molto invecchiato e ormai la morte del libro mi preoccupa molto meno di quella mia personale.
Il libro è una quercia, che ha resistito e resisterà al vento dei new media. Io non credo che l’uomo rinuncerà mai ad esercitare una capacità così importante ed esclusivamente sua come la lettura e, se continuerà ad esercitarla, credo che continuerà ad usarne lo strumen-to più semplice e maneggevole. Il libro.


Cultura e profitto

Il libro ha dunque due anime, una profana e l’altra, sia detto senza retorica, più sacra: è contemporaneamente una merce e uno strumento culturale.
Ma sarebbe un errore privilegiare una sola delle due.
A considerarlo solo come un prodotto da supermercato si finirebbe per pubblicare solo stupidaggini, in un processo per qualche aspetto analogo a quanto è successo in altri mezzi di comunicazione.
E invece uno dei motivi per cui il libro è così vivo e vitale è il fatto che molti libri hanno cambiato il mondo. E anche tra i 42.000 titoli che escono ogni anno in Italia ce n'è un certo numero che influenzano il nostro modo di pensare ed agire.
Tuttavia, se lo considerassimo solo uno strumento culturale finirebbe per perdere la sua vitalità ed essere confinato in un’oasi di protezione, come il teatro dell’opera o i grifoni della Barbagia.
No, bisogna rimanere in equilibrio tra cultura e profitto, ricordare sempre che il libro non è un oggetto composto dalla carta con cui è confezionato, ma dalle parole che contiene.
E, tuttavia, applicare senza vergogna anche ad esso alcune delle tecniche di vendita delle scatolette di tonno.


PS: ho scoperto un'altra incantevole libreria a Milano. Sto preparando foto e testo. Presto sarà online...

martedì 12 ottobre 2010

La cultura non si mangia (2)

Pubblico la seconda parte di questo interessantissimo documento del Signor Bozzi, proprietario della libreria più antica d'Italia: la Libreria Bozzi di Genova.

Il valore della parola

Ma siccome serve a trasmettere parole, idee, fatti, direi che, nell’evoluzione della civiltà umana, ha avuto un ruolo più importante di quello delle forbici e dei cucchiai.
Non è il caso qui di entrare nel dettaglio, ma, a proposito di questo ruolo, vorrei almeno accennare a un aspetto, che peraltro si rifà anche alle recenti dispute sui rapporti tra pensiero e linguaggio.
La facoltà di parola è la facoltà più nobile ed esclusiva dell’uomo perché è, sostanzialmente, il mezzo più efficace per manifestare e comunicare il pensiero.
Per i credenti la parola, il logos, è il mediatore tra la volontà di Dio e gli uomini.
E il libro, abbiamo visto, è uno strumento perfetto per trasmettere la parola.
Non a caso la Bibbia si chiama così e tutte le religioni monoteistiche hanno alla base un libro, sia esso il Corano, la Thorà o il Talmud.

Il meccanismo della lettura
Ma mi rendo conto che sto addentrandomi negli empirei della spiritualità e quindi cadere nel peccato retorico che volevo evitare: così vorrei fare una riflessione, come dire?, "puramente fisiologica" sui meccanismi che il nostro cervello mette in moto quando legge.
Qualunque ragazzo di prima media, leggendo “quel ramo del lago di Como” evoca senza sforzo una distesa d’acqua, piuttosto calma, circondata da montagne e via dicendo.
Eppure quando legge la parola “lago”, i suoi occhi vedono solo quattro segni neri su una pagina bianca: simboli che formano le lettere l, a, g, o.
Questi simboli, uniti tra loro, ne formano un altro: la parola “lago”. Che, giova ripeterlo, è ancora un simbolo, come tutte le parole.
La lettura è quindi un'attività con la quale si evoca il mondo reale e anche quello immaginario attraverso una complessa operazione di doppia decodifica di simboli astratti.
Un'operazione di cui l’uomo è capace fin da tenera età e che compie rapidissimamente.
È una capacità stupefacente, di cui solo lui è capace e che ha avuto e ha una fortissima capacità di strutturarne il pensiero: la parola, che è un mezzo per manifestare il pensiero, è anche un mezzo per dargli una struttura.
Provate a pensare senza le parole e il vostro pensiero si confonderà e sfumerà in una nebulosa senza confini.
La capacità di leggere e scrivere è stata così importante nel cammino umano che il suo raggiungimento segna convenzionalmente il confine tra la preistoria e la storia.
Così come l’invenzione di Gutenberg, lo strumento perfetto per diffonderla, segna l’inizio della modernità.

sabato 9 ottobre 2010

La cultura non si mangia

L'Amaca di Michele Serra su La Repubblica di oggi è particolarmente arguta e interessante. Riflette sul binomio Bondi-tagli alla cultura di 3Monti, riportando due ilari frasi del Giulio Nostrano: il ministro declamò che "la cultura non si mangia" e, in un recente comizio elettorale  elogiò chi "il tempo per leggere dei libri non ce l'ha". Serra osserva che il 3Monti il tempo per leggerli, i libri, ce l'ha avuto, eccome. E ne fa uso per convincere le masse a non farne uso. 
Si sa, la cultura spaventa, poiché è IL pane della mente.

Allora ho pensato di iniziare, con questo post, a pubblicare un'analisi molto dettagliata e interessante di una persona che di libri un po' ne sa. Vi ho già parlato della Libreria Bozzi di Genova, la più antica d'Italia: dal 1810 la stessa famiglia ha onorato un mestiere antico e bellissimo, quello del libraio. Alle mie domande, il Signor Bozzi ha risposto con un lungo documento pieno di nostalgia, passato, presente e futuro. Sempre mettendo i libri al primo posto. E allora, voglio pubblicarlo a puntate, così come lui me lo ha inviato.
Buona lettura.

Le due anime del libro.


Il libro, merce singolare


L'esperienza mi insegna che a parlare del libro è facile abbandonarsi alla retorica.
È un peccato che ho commesso spesso in passato, ma ormai ne sono consapevole e cerco di starne lontano.
Partiamo perciò dalla prosaica verità che il libro è una merce e il libraio è un commerciante. Entrambi con qualche peculiarità.
La prima è questa: nel 1455, quando il libro a stampa è stato inventato, tutti gli oggetti venivano fabbricati a mano, uno per uno, con la conseguenza che non ce n’erano due identici.
La fabbricazione di molti esemplari identici di uno stesso oggetto, attraverso quella che poi si è definita “produzione in serie” è incominciata proprio con il libro.
Ma la cosa strana è che esso è rimasto l'unico per trecento anni. Bisognerà attendere i primi telai meccanici nella seconda metà del ‘700 per vedere applicato il processo di fabbricazione in serie ad altri oggetti.

È difficile capire che cosa significa questa anomalia temporale, così come è difficile capire se essa va messa in relazione con l’altra peculiarità del libro, l’enorme varietà di titoli presente sul mercato fin dai primissimi tempi.
Pensate che i titoli stampati prima del 1500, i cosiddetti incunaboli, malgrado la ristrettezza del mercato del tempo, sono oltre 40.000.
Oggi sul solo mercato italiano sono presenti circa 300.000 titoli e ne escono circa 42.000 nuovi ogni anno. Pensate alle cifre corrispondenti sul mercato di lingua inglese...
Ed è un dato che cresce con il crescere dello sviluppo: l’indicatore "numero di titoli pubblicati ogni anno per milione di abitanti" è massimo in Germania e minimo in Togo.

Il libro, strumento immutabile
Il libro ha anche un'altra peculiarità: l'immutabilità, una caratteristica che naviga nei paraggi dell'immortalità e quindi, così come recita il titolo, dell'anima.
Ce ne rendiamo conto facendo un semplice paragone basato sulla nostra esperienza di uomini maturi: pensiamo ai cambiamenti cui abbiamo assistito nel corso della nostra vita, per quanto riguarda i mezzi per riprodurre la musica o le immagini.
Nella mia memoria, che ormai purtroppo coincide con la proverbiale “memoria d’uomo”, c’è nella casa della mia infanzia addirittura un fonografo a manovella sul quale mio padre ascoltava il suo amato Wagner. Non tutti hanno questa esperienza, ma certo qualcuno ricorderà i fragili dischi di lacca a 78 giri e il grammofono con le puntine da cambiare. Poi vennero i microsolco in vinile, prima a 45 giri poi a 33. Poi arrivarono le cassette e i cosiddetti mangianastri. Qualcuno ricorderà anche la fugace esistenza di certe insensate maxi cassette.
Tutte spazzate via dai CD ROM. Che a loro volta saranno travolti dagli IPOD: oggi le mie nipoti vanno in giro con un aggeggio grosso come un accendino che potrebbe contenere agevolmente tutte le opere di Wagner, oltre all'opera omnia di Madonna che già contiene.
Ora ripensate invece ai libri della vostra prima elementare e vi renderete conto che erano sostanzialmente identici ai libri che si pubblicano oggi.
Forse oggi si fabbricano un po’ più rapidamente, forse è più facile stamparli a colori.
Ma concettualmente sono identici: pagine riempite di parole e immagini, rilegate assieme con una copertina rigida o molle.
Ma non solo: essi sono sostanzialmente identici da secoli e persino sostanzialmente identici al primo libro della storia, la Bibbia delle 42 righe stampata nel 1455 da Gutenberg.
In 550 anni non sono mai cambiati.
Il che significa che il libro, come le forbici o il cucchiaio, è uno strumento nato perfetto.